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Il canale a caccia di software house in nome dell’AI

Secondo Paolo Delgrosso di HPE, per vendere AI MSP e system integrator dovranno ampliare le loro competenze di sviluppo.

Tecnologie & Trend

A latere di HPE Discover 2023, European Edition dell’annuale evento HPE tenutosi a Barcellona, c’è posto anche per due chiacchiere con Paolo Delgrosso, Channel, Alliance, OEM & SP Sales Director Manager di HPE e Mauro Colombo, Technology & Innovation Sales Director di HPE. Si parla della declinazione della nuova offerta AI native di HPE, che abbiamo illustrato qui e delle ripercussioni sul canale e sul nuovo Partner Ready Vantage Program live dal primo novembre 2023.

Il primo mito, che già il Ceo Antonio Neri ha provveduto a sfatare, riguarda certamente i costi di ingresso. L’AI pensata da HPE è nativamente aperta a tutti, aziende italiane medie e piccole comprese, mostrandosi pronta alla crescita di interesse che (anche) quella dimensione aziendale inizia ad avere. D’altronde, i dati parlano di un 73% di aziende che, nel mondo, hanno dichiarato di voler porre l’AI prioritario su tutti gli investimenti digitali.

Notiamo una crescita di interesse da parte della fascia di mercato medio-bassa e, poi, in fondo, molte PMI usano già l’AI e non lo sanno. Per esempio, HPE ha già integrato da tempo InfoSight nelle proprie soluzioni per l’infrastruttura – racconta Delgrosso – i clienti lo usano e usano l’AI in modo trasparente”.

Dunque, i dati dell’ISTAT che parlano di un misero 6% di PMI italiane che usano già l’AI dovrebbero essere corretti. Il valore è forviante, non perché falso ma perché dichiarato dagli stessi clienti che, come nel caso dei primi anni del cloud, non hanno visibilità sull’uso effettivo dell’AI, già presente in tutti i servizi applicativi più utilizzati. Ma nel caso della Gen AI è necessario un distinguo.

In questo caso, l’azienda cliente diventa pienamente consapevole del modello AI che utilizzerà, deve partecipare attivamente alla sua creazione e, infine, lo sfrutterà interrogandolo direttamente. Stiamo andando verso un cambio di paradigma, non paragonabile al passaggio al cloud, che richiede i suoi tempi e che si scontra con un paio di pregiudizi culturali derivanti da un approccio superficiale, come il costo appunto.

Prezzo e ROI non sono un problema

La barriera del prezzo – prosegue il manager – sarà superata da HPE anche con un ridimensionamento dei prezzi dell’hardware necessario. Oggi siamo in grado di proporre una soluzione completa hardware, software e servizi ad aziende di qualsiasi dimensione e mercato verticale, corredata da una forte spinta “culturale” in termini di esperienze già rodate, formazione e modelli semipronti (come quelli del partner Aleph Alfa in ambito NLP, ndr) che hanno proprio l’obiettivo di ridurre i tempi di training, e dunque di raggiungimento del ROI”.

Perché, insieme ai costi, anche i tempi di implementazione preoccupano il mercato. È risaputo, infatti, che il collo di bottiglia è il training dei dati, la prima fase di un progetto standard di AI: “la maggior parte delle aziende si scontrano fin da subito con l’impossibilità di sapere dove siano collocati i dati e quali siano quelli che ha senso raccogliere, analizzare ed elaborare, escludendo le ridondanze – prosegue Delgrosso”.

Dunque, per Delgrosso e per Colombo, i tempi della Gen AI in Italia sono maturi. “Stiamo già sviluppando dei progetti consistenti per alcune realtà enterprise italiane in alcuni mercati: dal manufacturing, in cui comprendiamo anche le utilities, dal Finance & Insurance fino al Large Public Sector – afferma Colombo”. Sono i clienti stessi, ovviamente consolidati e con già infrastrutture HPE in casa, i primi a interessarsi, cogliendo così l’occasione di ripensare la distribuzione dell’infrastruttura.



Mauro Colombo, Technology & Innovation Sales Director di HPE.

Da quanto il cloud pubblico ha iniziato a presentare il conto (salato), infatti, le grandi aziende iniziano a rispolverare l’on prem, o almeno un modello ibrido. Ed è proprio on prem che il training e l’inferenza trovano il terreno più adatto. Perché c’è bisogno di avere il pieno controllo sui dati e le garanzie di sovereignty e di integrità del dato, soprattutto in contesti come la PA e il Finance. E c’è anche tanto bisogno di Intelligent Edge, ovvero di motori di AI che lavorino già in periferia, evitando il porting massiccio di dati verso le strutture centrali che sottopone la Rete a uno stress insuperabile, e che presenta notevoli vulnerabilità per i dati stessi.

A che partner pensa HPE

Definito il contesto, decisamente allettante, deve essere chiarito il ruolo del canale, perché HPE non ha ovviamente alcuna intenzione di abdicare alla sua missione di azienda “channel first” nel mercato PMI.

La fascia medio bassa dei clienti non ha competenze interne – prosegue Delgrosso – e deve necessariamente affidarsi a un partner di canale per tutte le fasi di un progetto AI. Diventa così fondamentale per HPE abilitare velocemente le attività necessarie a renderlo all’altezza delle richieste di mercato”.

Diciamo subito che HPE in Italia, come nel resto del mondo, non si aspetta una migrazione massiccia di partner verso una specializzazione in Intelligenza Artificiale. “A oggi abbiamo identificato una decina di partner di alto livello (Platinum) su cui concentreremo la nostra attività di formazione – aggiunge il manager. Si tratta di MSP (o se vogliamo system integrator di fascia alta che hanno rivisto denominazione e identità, ndr) che hanno già o si stanno attrezzando per avere in casa ciò che serve principalmente: competenze di sviluppo”.

Il partner HPE ideale per l’AI è, dunque, un MSP (o system integrator) con forti capacità di sviluppo e integrazione, da ottenere eventualmente con qualche acquisizione mirata. Delgrosso immagina in proposito una certa attività nei prossimi mesi in Italia, d’altronde anche nel nostro Paese esistono diverse software house che stanno già lavorando su motori di AI specifici e HPE ha già dato il buon esempio con l’acquisizione della vicentina Athonet.

Sebbene Athonet si occupi di soluzioni per l’integrazione del 5G nelle reti wireless aziendali e dunque apparentemente lontane dall’ambito AI, l’integrazione porta con sé un messaggio preciso: acquisire competenze, lavorare in partnership per mostrarsi pronti e preparati a implementare innovazione.

Su un progetto AI, dunque, la dote del partner qualificato riguarderà la fase di preparazione del modello, l’individuazione e la scrematura dei dati, la fase di training. Ma anche a modello live ci sarà bisogno del partner, per il fine tuning e per il settaggio dinamico della fase di inferencing. Servizi, insomma, tutti già a portafoglio HPE, conditi da una solida competenza applicativa, sempre in ambito Gen AI.

“L’offerta AI native sarà inserita all’interno del Partner Ready Vantage Program, attivo dal primo novembre – prosegue Delgrosso –
”.

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