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Dazi di Trump, i possibili impatti sul Canale IT

In attesa della risposta della UE sembrano inevitabili aumenti di prezzi non solo dell’hardware, e budget IT più prudenti delle aziende utenti. Cresce il ruolo strategico di supply chain e distributori

Distributori Mercato Tecnologie & Trend

E così alla fine i dazi che Donald Trump aveva promesso fin dall’inizio della sua campagna elettorale sono arrivati, nel cosiddetto "Liberation Day". E sono molto più pesanti di quanto il resto del mondo sperava, sia come numero di paesi interessati, sia come entità delle misure.

Per gli USA si tratta delle misure protezionistiche più massicce da quasi cento anni. Gli obiettivi di Trump sono essenzialmente tre: riequilibrare il più possibile il deficit commerciale degli USA, riportare sul suo territorio la produzione industriale delle imprese USA e attirarvi produttori esteri, e costringere gli altri paesi a negoziare ottenendo così concessioni in vari settori, dal commercio all’ambito militare.

Il pessimismo degli economisti

La prima conseguenza concreta però è che le Borse di tutto il mondo stanno subendo pesanti perdite: gran parte degli economisti infatti non la pensa come Trump, e ritiene che questi nuovi dazi provocheranno aumenti di prezzi per imprese e consumatori di tutto il mondo, e quindi aumenti dell’inflazione, e abbatteranno i tassi di crescita, innescando anche delle recessioni, negli stessi USA in primis.

Moltissimi articoli sono stati scritti in questi giorni per analizzare la fattibilità degli obiettivi di Trump, i possibili impatti dei suoi dazi, in particolare sull'export e sull'economia dell'Italia, e le ipotesi di contromisure dei paesi colpiti, a cominciare dall'Unione Europea.

Qui ci concentreremo sugli impatti dei dazi sul settore IT, e sugli operatori del canale IT. Cominciando proprio dalle possibili contromisure dell’Unione Europea, perché molti indicano il mercato dei servizi IT come uno dei possibili target.

Mentre infatti sui beni materiali l’Europa ha un forte surplus commerciale verso gli USA (cioè esporta molto più di quanto importa), nei servizi ha un notevole deficit commerciale. E in questo deficit, i servizi IT (cloud, system integration, gestione di hardware e applicazioni, connettività, consulenza tecnologica, ecc.) rappresentano una quota preponderante.

Servizi IT, un possibile bersaglio delle contromosse dell'Europa

I servizi che l’Europa importa dagli USA infatti spaziano su molti settori, ma la parte del leone sono appunto i servizi IT. Queste importazioni secondo Goldman Sachs valgono almeno 150 miliardi di euro l’anno, e per l'Europa sarebbero un'ottima leva di negoziazione con l’amministrazione Trump.

Sul mercato digitale i rapporti tra USA ed Europa sono già difficili a causa di normative UE e dei singoli Stati che le Big Tech americane considerano troppo vincolanti. In primis il Digital Markets Act, sul quale la Commissione Europea starebbe valutando multe a X (oltre un miliardo di dollari), e ha aperto indagini su Alphabet, Apple, Amazon e Meta.

A questo punto però i dazi di Trump potrebbero provocare un’escalation. Le potenziali ritorsioni dell’Europa nell’IT sono tante, dal divieto di partecipare a gare per i contratti pubblici a tasse e restrizioni appunto sulla vendita di servizi, e sugli sfruttamenti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale. Tutti provvedimenti che sarebbero giustificati dall’Anti Coercion Instrument (ACI), varato dalla UE nel 2024, ma che comunque la UE secondo diverse fonti starebbe valutando solo come extrema ratio.

I dazi aumenteranno i costi di tutta l'offerta IT, non solo dell'hardware

A parte le possibili contromosse dell’Europa e di altri paesi comunque, già i soli dazi del “Liberation day” hanno affossato in Borsa le Big Tech. Apple ha perso in un giorno il 9%: oltre il 90% della sua produzione è in Cina, e secondo gli analisti i dazi di Trump potrebbero costarle quasi 40 miliardi di dollari, che deve scegliere se riversare sui clienti finali o assorbire rinunciando a un terzo dei suoi profitti.

In generale tutto l’hardware, sia per i mercati business sia per quelli consumer, è materialmente fabbricato in gran parte nel Far East, che è l’area più duramente colpita dai dazi “reciproci” di Trump (Cambogia 49%, Vietnam 46%, Thailandia 36%, Indonesia 32%, Taiwan 32%). Per cui vedrà con tutta probabilità aumentare i propri costi.

In particolare i produttori di pc e di server. Che si sono preparati ammassando scorte di componenti per compensare l'impatto dei dazi nel breve periodo. Non per caso le esportazioni dalla Cina verso gli USA sono cresciute di oltre il 15% a dicembre 2024.

Non solo: molte aziende utenti hanno anticipato gli acquisti di hardware per evitare gli aumenti di prezzi legati ai dazi. Dazi che secondo Reuters provocheranno aggravi di costo per i produttori di pc tra il 10 e il 25%, che significa aumenti di prezzo tra 200 e 500 dollari per ogni pc. E questo molto probabilmente abbatterà i volumi d'acquisto. In effetti nel primo giorno di Borsa dopo il “Liberation Day” Dell ha perso il 17% e HP il 14%.

Ma anche i mercati digitali più in crescita – l’intelligenza artificiale, i data center, i processori – e quello di servizi IT più grande – il cloud – molto probabilmente vedranno salire i loro costi a causa della forte dipendenza dalle infrastrutture hardware e di rete.

In generale, dopo una prima valutazione dei possibili impatti dei dazi annunciati da Trump, la società di ricerca IDC ha dimezzato dal 10% al 5% il tasso di crescita del mercato ICT atteso per il 2025.

L'importanza della gestione delle supply chain

Dato questo scenario, quali saranno i principali impatti sugli operatori di canale IT? Un’analisi di due mesi fa della società di ricerca Canalys, pur non tenendo ovviamente conto dell’entità dei dazi annunciati pochi giorni fa, dà alcuni interessanti spunti.

Uno riguarda le supply chain. La diversificazione delle catene di approvvigionamento dei produttori hardware, iniziata durante la prima presidenza Trump e accelerata durante il Covid, sarà ulteriormente incentivata, ma spostare fabbriche e magazzini è un processo lungo e complicato.

Inoltre i produttori hardware certamente negozieranno con i loro contractor in Cina per mitigare gli aumenti di costi, ma quello che Canalys non poteva prevedere è che i dazi colpiranno tutti i paesi del Far East dove negli ultimi anni sono state diversificate le supply chain. L’unica cosa che si può fare a questo punto è fare leva sulla differenza dei dazi tra paese e paese: per esempio tra Vietnam e Indonesia c’è una differenza del 14%. Occorrerà anche evitare di allungare ulteriormente le supply chain, perché è previsto un aumento anche del petrolio e della domanda di trasporto merci, che farà ulteriormente salire i costi, oltre a dilatare i lead time.

Cresce il ruolo dei distributori

Collegato a questo tema c’è quello del ruolo dei distributori. Che secondo Canalys sono ben posizionati per capitalizzare sugli effetti dei dazi appunto perché la logistica delle supply chain sarà fondamentale.

I distributori possono giocare sull’accumulo delle scorte in alcune zone invece che in altre per affrontare eventuali interruzioni o ritardi e mitigare gli aumenti dei costi. Inoltre i loro classici punti di forza - disponibilità di capitale, capacità di credito, gestione delle fluttuazioni del cambio - saranno fondamentali per supportare i partner. Anche se sarà molto difficile per loro bilanciare i rischi di indebolimento della domanda di mercato, l’aumento dei prezzi, i rischi di rimanere con scorte in eccesso, e le pressioni dei fornitori perché assorbano almeno in parte gli aumenti di costi.

Margini più alti? Forse, ma solo nel breve termine

Altro elemento fondamentale è la trasparenza della comunicazione in ogni stadio della supply chain IT. I distributori in particolare devono cercare di ottenere quante più informazioni possibili dai produttori sulle strategie tariffarie e passarle ai loro partner, in modo tale che questi non vengano sorpresi e costretti a gestire situazioni conflittuali con gli utenti finali.

Canalys cita anche un proprio sondaggio secondo cui oltre il 40% degli operatori di canale IT ritiene i dazi una buona notizia, definendola una visione di breve termine basata sull’aspettativa di margini più alti legati all’aumento dei prezzi e della domanda. Nel sondaggio i partner non USA risultano più positivi, mentre tra quelli USA solo il 18% ritiene i dazi una buona notizia: per il 20% invece è disastrosa.

Budget IT aziendali, il rischio di rallentamenti e rinvii

In un altro sondaggio, della società di analisi Channelnomics dell'inizio del 2025, gli operatori di canale IT statunitensi risultano più ottimisti: il 54% ritiene che le tariffe di Trump aiuteranno le loro attività.

Dai due sondaggi comunque emerge una visione dei dazi come catalizzatori degli investimenti IT nazionali e degli sforzi di reshoring. Ma la realtà sarà più complessa. Sia per il fatto che al momento del sondaggio l'entità dei dazi del Liberation Day non si sapeva ancora. E poi secondo Channelnomics per altri tre fattori, che in parte abbiamo già citato:

- Le aziende IT fortemente dipendenti da supply chain internazionali potrebbero affrontare costi più elevati, margini in diminuzione e difficoltà di approvvigionamento.

- L'aspettativa che la spesa IT negli USA aumenti potrebbe essere frustrata da un aumento della prudenza delle aziende in risposta all'incertezza economica e all'aumento dei tassi di interesse che a questo punto è considerato dagli economisti molto probabile. Ma questo non vale solo per le aziende USA ma per le aziende di tutto il mondo. E come abbiamo già visto in situazioni precedenti aumento di prudenza significa più severi controlli e vincoli per i budget IT, e rallentamenti, rinvii, e richieste di ricontrattazione o addirittura cancellazioni dei progetti IT già pianificati.

- La possibilità di tariffe ritorsive da parte di altri paesi aggiunge un ulteriore livello di rischio nell'ecosistema IT globale.

La forte incertezza è la nuova normalità

A questo proposito Channelnomics cita l’intervento dell’economista Douglas Holtz-Eakin, già capo del Congressional Budget Office, al recente GTDC Summit, il congresso annuale dell’associazione mondiale dei distributori ICT. Secondo Holtz-Eakin, i principali impatti potenziali delle politiche economiche di Trump sull'industria IT e sul canale IT saranno i seguenti:

- Problemi nelle supply chain: i dazi provocheranno interruzioni e ritardi, aumenteranno la necessità di mantenere più scorte ai vari stadi delle supply chain, allungheranno i tempi di consegna e di lancio dei nuovi prodotti, e aumenteranno i costi. I fornitori e i distributori probabilmente trasferiranno questi aumenti di costi sui partner, che a loro volta li trasferiranno ai clienti.

- Allentamento delle politiche regolatorie: le negoziazioni per ridurre i dazi potrebbero portare a una applicazione meno severa di normative e regolamenti. Questo può stimolare la crescita, ma anche ridurre gli investimenti IT in tecnologie di sicurezza IT, protezione dei dati e conformità.

- Spostamento della spesa business verso i servizi: l’aumento dei costi dell’hardware provocato dai dazi probabilmente sposterà il mix di spesa IT delle aziende verso i servizi cloud e gestiti, che hanno costi più flessibili e basati sul consumo.

La forte incertezza è la nuova normalità

In poche parole, la conclusione è che la forte incertezza è la nuova normalità, e che il vero fattore critico di successo in questo momento è la capacità di navigare a vista. Prevedere l'impatto a lungo termine dei dazi è difficilissimo, poiché la strategia economica dell'amministrazione USA non è chiara e molto dipende da come reagirà l’Unione Europea.

Di conseguenza, per Channelnomics le raccomandazioni di base su cui i partner IT devono impostare le loro strategie sono queste:

- Diversificare le fonti di entrata per ridurre la dipendenza dalle vendite di hardware.

- Investire in servizi gestiti e soluzioni cloud che forniscano entrate stabili e ricorrenti.

- Rimanere continuamente informati sui cambiamenti nelle politiche commerciali dei vendor e adeguare le strategie della supply chain di conseguenza.

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