Rispetto al 2018 l’Europa ha un’arma normativa in più, che colpirebbe un export che per gli USA vale 150 miliardi l’anno, spiega un report di Goldman Sachs
Nella eventuale seconda “guerra dei dazi” con l’amministrazione Trump, l’Unione Europea ha un’arma in più rispetto alla prima del 2018: la possibilità di imporre restrizioni sui servizi erogati da società USA a società europee. E in particolare sui servizi informatici.
Mentre infatti sui beni materiali l’Europa ha un forte surplus commerciale verso gli USA (cioè esporta molto più di quanto importa), nei servizi ha un notevole deficit commerciale. E in questo deficit, i servizi IT rappresentano una quota preponderante.
Il tema, già trattato da diverse fonti tra cui Financial Times e Politico, è stato approfondito in un report di Goldman Sachs (“EU-Response to US Tariffs: Old Playbook With a New Option”) uscito nei giorni scorsi, e firmato da Giovanni Pierdomenico e Filippo Taddei. Va detto che i due analisti ritengono improbabile l'attuazione di questa opzione, per i rischi di escalation delle tensioni commerciali tra USA ed Europa che comporterebbe. Ma, diversamente dal 2018, stavolta è un’opzione sul tavolo.
Nel 2018, si legge nel report, la UE ha reagito prontamente ai dazi statunitensi, ma ha mantenuto un approccio pragmatico, in due fasi. La prima serie di dazi UE è stata introdotta 20 giorni dopo l’entrata in vigore dei dazi USA su acciaio e alluminio, e ha riguardato prodotti “simbolici” in settori come motocicli, alimentari, abbigliamento.
Il secondo pacchetto di dazi europei non è mai stato applicato. Avrebbe dovuto esserlo entro tre anni, ma nel 2020 è stato eletto Joe Biden, e durante la sua amministrazione la situazione dei dazi tra USA ed Europa si è gradualmente normalizzata tornando praticamente ai livelli precedenti al 2018.
Lo scenario base di Goldman Sachs prevede che i dazi USA voluti da Trump colpiranno un insieme limitato di settori europei, tra cui automobili e alcuni beni critici (metalli, farmaceutici, ecc.), per un valore di circa 190 miliardi di euro di esportazioni UE: il 40% di quelle verso gli USA.
Se questo scenario verrà confermato, la previsione è che la UE risponda in modo simile al 2018, entro pochi giorni, e aumentando i dazi su alcune categorie di beni USA (metalli, prodotti agricoli, veicoli, natanti, con possibile estensione a chimica e aerospazio) il cui valore è circa il 50% dei 190 miliardi citati.
Allo stesso tempo, l’UE si appellerebbe all’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), accusando gli USA di violazione di alcuni trattati commerciali come il GATT, e riservandosi di aumentare ulteriormente i dazi in una fase successiva. Fase che comunque non si realizzerebbe prima di due anni secondo Goldman Sachs, visti anche i tempi decisionali dell’organo di risoluzione delle controversie della WTO.
Fin qui quindi lo scenario è simile a quello del 2018, ma l’eventuale opzione accennata in apertura è legata alla forte asimmetria dell’import/export tra USA ed Europa su beni materiali e servizi. Mentre per i beni l’Europa ha un surplus commerciale di 150 miliardi di euro l’anno, spiega il report, sui servizi ha un deficit di circa la metà di tale cifra.
“Ci aspettiamo che la UE ricercherà il più possibile una de-escalation delle tensioni sui dazi”, scrivono Pierdomenico e Taddei, “ma secondo alcune fonti sta anche valutando una risposta forte”.
Questa risposta sotto il profilo normativo si baserebbe sull’Anti Coercion Instrument (ACI), varato dalla UE nel 2024. La UE definisce “coercizione economica” l’atto di un paese terzo che applica o minaccia “misure che incidono sugli scambi o sugli investimenti” al fine di ottenere determinate azioni da parte dell’Unione o di uno Stato membro. L'ACI fornisce alla Commissione UE un’ampia gamma di possibili contromisure, tra cui l’imposizione di dazi e restrizioni sulla compravendita di servizi e sugli sfruttamenti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale.
Un nuova “arma” quindi, il cui bersaglio principale in questo caso sarebbero i servizi IT che le Big Tech statunitensi erogano alle imprese europee. I servizi che l’Europa importa dagli USA infatti spaziano su molti settori – il primo che viene in mente è quello finanziario – ma la parte del leone, sottolinea il report di Goldman Sachs, sono appunto i servizi IT, che vengono poi fatturati come royalties canalizzate negli USA dall’Irlanda. “Queste importazioni valgono almeno 150 miliardi di euro l’anno: ogni eventuale azione per limitarle impatterebbe in modo significativo sulla bilancia commerciale con gli USA”.
Come anticipato, però, anche se l’opzione è sul tavolo, al momento Goldman Sachs ritiene improbabile la sua applicazione. Prima di tutto perché richiederebbe diversi passaggi non scontati: la Commissione dovrebbe fornire prove dei danni subiti dalle imprese europee. Inoltre l’utilizzo dell’ACI deve essere approvato da almeno 15 dei 27 Stati membri. Ma soprattutto la sua applicazione provocherebbe un’escalation significativa delle tensioni internazionali collegate ai dazi.
“Ci aspettiamo dalla UE un approccio pragmatico e aperto al negoziato”, concludono Pierdomenico e Taddei. “Tuttavia se le tensioni sui dazi si dovessero prolungare o se l'ambito dei dazi USA fosse più ampio del previsto, si potrebbero innescare perturbazioni commerciali senza precedenti, con innalzamenti dei dazi e restrizioni sulle importazioni di servizi dagli USA”.
Immagine: Thijs ter Haar / Flickr