Lo sviluppo repentino dello smart working avvenuto durante la pandemia Covid-19 ci aveva fatto intravedere un nuovo modo di lavorare, immaginare innovative organizzazioni aziendali con lo smart working in prima fila. In questo contesto avevamo ipotizzato che i Top Manager delle aziende
Autore: Redazione ChannelCity
Lo sviluppo repentino dello smart working avvenuto durante la pandemia Covid-19 ci aveva fatto intravedere un nuovo modo di lavorare, immaginare innovative organizzazioni aziendali con lo smart working in prima fila. In questo contesto avevamo ipotizzato che i Top Manager delle aziende, dopo che per decenni si era assistito a milioni di persone incollate alla scrivania, cinque giorni su sette, otto ore se non di più, avessero compreso la nuova opportunità, i vantaggi che avrebbero avuto le imprese e anche i lavoratori.
Oggi, invece, tutto questo sta naufragando davanti a un repentino dietro front. Non lo afferma il sottoscritto, ma lo mette nero su bianco l’Inapp (l’Istituto per l’analisi delle politiche pubbliche), il quale sottolinea come se nel periodo pandemico 2020-2021 ci fossero in modalità smart working oltre 7 milioni di lavoratori, in questo primo scorcio del 2023 la cifra si è molto ridimensionata e oggi riguarda poco meno di 3 milioni di lavoratori. Due i principali ostacoli che non hanno permesso di far decollare compiutamente la modalità di lavoro in smart working: la prima, la più importante, è la riorganizzazione del lavoro per obiettivi, con un adeguamento dei salari e benefit che mantenga il corretto equilibrio tra chi lavora da remoto e chi lavora in presenza. La seconda è che né la pubblica amministrazione, né il tessuto delle medie e piccole imprese (escluso qualche grande azienda) si è mai posto veramente come obiettivo la possibilità di riorganizzare il lavoro mettendo a pari dignità il lavoro in sede e il lavoro in remoto...