Secondo le ultime stime dell’Osservatorio Cloud & ICT as Service del Politecnico di Milano, il mercato complessivo del cloud in Italia nel 2013 è stato di circa 1,18 miliardi di euro, con una crescita del 31% rispetto al precedente anno. La componente che fa riferimento al public cloud ha generato investimenti pari a 320 milioni di euro, con una crescita anno su anno del 40%, mentre gli investimenti relativi a infrastrutture on premise sono nell’ordine di 860 milioni di euro con una crescita del 28%. Sono cifre che testimoniano di un mercato ancora marginale rispetto alla spesa complessiva ICT, ma che esprimono un fenomeno in controtendenza rispetto alla generale contrazione degli investimenti.
L’investimento è concentrato nella grande impresa. Su quest’ultima componente gravita il 93% della domanda espressa nell’ultimo anno mentre la domanda da parte delle PMI genera soltanto un 7% degli investimenti complessivi. La ripartizione della spesa è per il 43% riferibile al Software as a Service, per il 49% alle infrastrutture e per l’8% alle piattaforme.
La ricerca, condotta per il quarto anno consecutivo dall’Osservatorio su un universo di 533 CIO e responsabili IT di imprese italiane, evidenzia che
il public cloud è prevalentemente associato a tre macro aree applicative: l’Office, ovvero posta elettronica e tool di produttività, Risorse Umane e Social Enterprise. Significa che le aziende italiane, tranne eccezioni, tendono a traslare in cloud servizi satelliti alle applicazioni core, e in particolare quelle che non creano implicazioni di trasformazione del sistema informativo.
Poca cosa è rappresentata dal mercato di sostituzione: la conversione e migrazione di applicativi esistenti rappresenta un’eccezione ed è del tutto residuale nella voce complessiva di spesa. Un dato di grande interesse è rappresentato dall’incidenza del cloud sulla nuova informatizzazione: secondo quanto rilevato dall’Osservatorio il 54% di questi investimenti viene indirizzato sulla nuvola.
Per quanto riguarda la spesa infrastrutturale questa appare essere in gran parte una risposta a esigenze di centralizzazione e consolidamento dei data center, istanza perseguita negli anni attraverso un percorso di virtualizzazione delle tre diverse componenti, di server innanzitutto, ma anche di storage e di networking.
Nella fase attuale il driver primario all’investimento infrastrutturale cloud, trasversale a molte le organizzazioni, è rappresentato dal Mobile Device Management. Il 46% delle grandi imprese afferma infatti che la gestione della mobilità è associata al cloud. Ulteriore rilevante aspetto che porta alla luce l’indagine dell’Osservatorio è il modello di impresa che più guarda con attenzione al cloud. Quest’ultimo appare infatti essere preferito dalle grandi imprese con una presenza distribuita a livello geografico e territoriale. Insomma più un’azienda è distribuita globalmente, più è probabile che il livello di investimento nel cloud sia consistente. Fenomeno, quindi, coerente con la capacità del cloud nel rispondere a esigenze di centralizzazione delle organizzazioni distribuite.
Coloro che sostengono che l’offerta cloud sia soprattutto allineata alle esigenze delle PMI vedono contraddetta la propria teoria: in Italia non si è ancora attivato un modello di erogazione del servizio in grado di trainare una domanda significativa da parte delle piccole e medie imprese. La scarsa incidenza delle PMI è comunque strettamente connessa alla debolezza della rete in Italia. Se si vuole che l’informatica percorra le strade del cloud si deve mettere a punto un sistema di infrastrutture adeguato: il nostro, quello italiano, è ancora inadeguato.
Da quanto emerge dall’indagine, nella fase attuale l’approccio al cloud è di tipo tattico e non strategico ed è in gran parte sollecitato dall’introduzione di nuovi servizi, vedi la mobilità. Siamo però soltanto agli inizi: i potenziali vantaggi del cloud, soprattutto in termini di riduzione del TCO infrastrutturale, accompagnati da una maggiore elasticità e flessibilità coerente con esigenze di business comporterà un progressivo scostamento degli investimenti da una modalità IT tradizionale a una modalità as a service che interesserà percentuali sempre più consistenti della spesa informatica, magari trainata da nuovi soggetti della line of business. Infine, uno dei fattori positivi che lasciano intravedere una maggiore propensione alla spesa as a service è una generale positiva valutazione del fenomeno: sono cadute molte delle barriere all’investimento, affermano gli autori dell’indagine, e ora si inizia a fare sul serio.